L'intervista. Flavio Tranquillo «Occhio ai soldi nello sport» di Roberto Sanna Era forte, imbattibile in Italia, rispettata e temuta in Europa. La Mens Sana Siena sponsorizzata Montepaschi ha segnato un'epoca nel baskel e contemporaneamente ha scritto una delle pagine più emblematiche e dolorose dello sporl professionistico italiano. Una società che agli occhi di tutti appariva come un modello virtuoso, un diamante espresso da una felice cittadina di provincia, franata rovinosamente insieme alla banca che la sponsorizzava. Destini strettamente legati che sono stati messi a nudo dall'inchiesta giudiziaria Time Out, culminata con l'arresto del numera uno Ferdinando Minucci (che aveva appena lasciato la sua poltrona senese e si stava preparando a prendere possesso di quella di numero uno della Legabasket) e le denunce per frode fiscale di buona parte di quel gruppo vincente, giocatori e allenatore compresi. "Time Out" è anche il libre che il giornalista di Sky Flavia Tranquillo ha scritto per add Editore e presenterà oggi a Sassari (ore 19) in occasione dell'inaugurazione della Biblioteca popolare dello sport e domani alle 19.30 nella Piazzetta del porto di Porto Rotondo. Un libro che spiazza e fa riflettere, una minuziosa ricostruzione dell'inchiesta attraverso gli atti giudiziari e le dichiarazioni dei protagonisti, ma anche una presa di coscienza di quello che è lo stato della sport professionistico in Italia e in Europa oltre a rivelare un "sistema Siena" dove tutti vivevano felici sotto la copertura del Monte dei Paschi e non c'era bisogno di porsi domande. Spiazza anche perché, nonostante sia firmato da uno dei maggiori esperti in Italia di basket, giocato nei capitoli c'è poco, lo troviamo soprattutto nelle prime pagine, nel drammatico e per certi rersi romantico racconto della conclusione della stagione 2013/2014: a quel punto era chiaro che la Mens Sana sarebbe fallita, ma quella squadra, allenata da Marco Crespi, giocò soprattutto col cuore, arrivando alla finale di Coppa Italia (persa proprio con la Dinamo Sassari) e a quella per lo scudetto contro Milano. In gara 6 Matt Jenning sbagliò il tiro del tricolore e l'Ar-mani si prese la partita con una prodezza di Curtis Jerrels, a fine partita i tifosi si alzarono in piedi e intonarono il loro inno, il canto della Verbena, consci che sarebbe stata l'ultima volta a prescindere da quello che sarebbe successo in gara7 a Milano. Lo scudetto fu poi vinto dall'Arma-ni ma per i tifosi senesi era irrilevante: la valanga aveva cominciato a travolgere tutto il sistema Siena, non solo la Mens Sana. Se qualcuno si aspettava un libro nel quale viene dimostrato che quella squadra vinceva perché si comportava in maniera disonesta sul campo, è rimasto deluso: i retroscena sono altri e, lo dice nel libro, quella squadra, in campo aveva qualcosa in più delle altre. «Diciamo più sì che no. Nel senso che in campo le cose sono andate evidentemente in un certo modo, ma la questione è molto più complessa e il libro serve anche ad approfondire questi punti, se volete. Ci sono le partite e poi ci sono le regole fiscali e la squadra è stata costruita, altrettanto chiaramente, violandole». Il caso Siena è però solo una parte del suo libro, che dimostra quanto sia sbagliato un modello di business che non produce utili. C'è un passaggio nel quale cita l'esponente del Cska Mosca che, in una riunione delFEuroleague sul fair-play finanziario dice che comunque non potrà mai impedire al padrone della squadra di spendere cifre folli per i giocatori. «Nessuno, ovviamente, può evitare al proprietario del Cska di spendere i suoi soldi come vuole. Il rappresentante del Cska, però, potrebbe parlare co- sì se fosse inserito in una normale azienda? Non penso. E, nel mondo economico, questo sarebbe un modello di business insufficiente? Credo di sì. Recentemente sono stati pubblicati i dati del calcio italiano: rispetto all'anno precedente ha prodotto più ricavi, ma i costi sono ulteriormente aumentati: sfido qualsiasi economista a dimostrare che questo è un modello sostenibile». A un certo punto fa il paragone col modello dell'Nba, dove spesso e volentieri le franchigie guadagnano tantissimo dalla loro attività. «Non è tanto un problema dell'Nba. Mi spiego: li ho visti da vicino e non mi sembra vengano da Marte, sono tutte persone che come noi hanno due piedi, due braccia e così via. Insomma, non stiamo parlando di altri mondi. È un discorso generale: in Italia ci sono aziende e settori che traggono profitti dalla loro attività? Direi di sì. Penso che la vicenda di Siena debba essere agganciata a questo, alla concezione che si deve avere dello sport professionistico. Una vicenda che diventa il paradigma di come può venire inteso lo sport professionistico: diventa accettabile avere delle perdite perché evidentemente quell'attività serve ad altro, ovvero a generare consenso. Consenso che poi qualcuno può utilizzare per altri fini. Ma lo sport professionistico è un'altra cosa, è impresa economica. Diverso è se si fa sport in altra maniera e in quel caso lo sport ha valenza sociale e culturale. Ma una cosa è lo sport sociale, altro è fare un'operazione che ha dei costi». Il libro serve anche a porre un interrogativo: dove eravamo, mentre a Siena si consumavano l'ascesa e la caduta della Mens Sana? «È un interrogativo che coinvolge tutti, dai tifosi ai semplici cittadini a me che ho scritto il libro. Personalmente ero in una bolla, abbacinato dalla bellezza del gioco. Una bolla dentro la quale non si fanno domande perché lo sport sa essere così bello da trascinarti in queste situazioni. Oggi è il contrario, penso sia giusto soffermarsi sulle singole situazioni per poi fare un ragionamento di sistema. Eravamo tutti a vedere partite, uno dice "chi se ne frega di come viene pagato quel giocatore". La comunità ha perso l'abitudine a discutere anche di cose che sono evidenti a tutti, si fa finta di nulla. Tornando a Siena, i bilanci sono pubblici ma non è che dai bilanci si capisce quanto viene pagato, e come, un giocatore. Quello non lo possiamo sapere, ma possiamo riflettere sul dato evidente: i 5 milioni dichiarati. Per un totale di 5 milioni, i vari Kau-kenas, Mclntyre, Lavrinovic e Stonerook non vengono a giocare. Poi non sta a me o a voi entra- re nei particolari, ma la domanda dobbiamo mettercela anche se stiamo parlando di grandi giocatori ed è facile essere distratti. Ed ecco che ritorniamo a quello che dicevamo all'inizio: quelle vittorie sono state sicuramente conquistate sul campo, ma con una squadra costruita con giocatori pagati in un certo modo». Il giornalista di Sky ospite in Sardeg