STORIE DI BASKET SCANDALO A PIGALLE di FRANCO BERTINI A \ PRIMI tiri I'JHXm irci/o sia porlamlo la Xazhu/ale italiana ila Militilo a Parigi per un inaici/ /" 'rancia-llalia. primo ilei tlnpoij/ierrit e nllinio al rt'ccìiiti Palais il'llirer. fini lieti/olilo, a'i'crritaziouc: nessuni! è inai sitilo a Pariifi e in ititi i francesi non ci riujl'nini) licnc, per lem siamo i lemmi ili sempre. Sul Irene inerì) l'unico pesarese, (iiociiro mila nazionale ili basket. Ili l'anno in cui la Sazionale amlo in poche ore dall'i il feri/o al panuliso. ¦ A pagina 4 «Io, pesarese a Pigalle 1958 La Nazionale di basket dall'inferno al paradiso» Quel 15 mano in cui VItalia trionfò in Francia SCHIACCIATORE DI NOCI DANNATO DAI PESARESI PER UNA SCHIACCIATA, CALEBOTTA FU L'EROE DI QUELLA IMPRESA VOLEVAMO IL CANCAN UN TITOLO DI GIORNALE FECE SCOPPIARE UNO SCANDALO PER CUI SALTÒ LA DIRETTA TV Jsì di FRANCO BERTINI ESSENDO nato nel 1930 in Dalmazia, Nino Calebotta aveva 12 anni quando mori a Bologna nel 2002. Un ragazzo immane. Fuori e dentro il campo. Coi suoi duecentocinque centimetri di magrezza quando la statura media nazionale Stava intorno al barattolo e dieci. Un mostro, pensavano, e che gli fai a uno così? Con la maglia bianconera della Virtus Bologna, sua patria, un giorno, contro Pesaro, galoppò 'coast to coast1 per andare a schiacciare a due mani facendo tremare il buon vecchio tabellone verso viale dei Partigiani. Allora pero la schiacciata subita era ancora un'onta da cancellare col sangue e inlatti per una buona annata i tifosi pesaresi gli fecero recapitare pacchi eh noci con su scritto schiaccia queste, gran coglione. QUEL NINO era intelligente, colto, simpatico, gran signore, piglin- culo quanto basta. Eccolo lungo il corridoio della carrozza ristorante del Milano - Parigi, il treno in partenza dall'Italia nella tarda serata e in arrivo in Francia la mattina dopo. Si siede a far colazione men tre dal finestrino scorre tutta la banlieue di Parigi. Ai primi del 1958 quel treno sta portando lui e la Nazionale italiana da Milano a Parigi per un match Francia - Italia, primo del dopoguerra e ultimo al vecchio Palais d'Hiver, poi demolito. C'è eccitazione: nessuno è mai stato a Parigi e in più i francesi non ci vogliono bene, per loro siamo i ter- roni di sempre. Intanto la gran città ci viene incontro e ci abbraccia come in un sogno sempre sognato. ARRIVA un autobus, carica su il gruppo e parte. Pian piano Parigi scompare come un sogno adesso negato. Si dirada, compare qualche albero, poi boschi e poi proprio il bosco, il Bois de Boulogne. Perché, è proprio li che il bus si feima e apre gli sportelli. Siamo all'Ecole d'Edu-cation Phisique. Cioè l'Isel di Francia. Intorno campagna e silenzio, foschia e freddo. Ci stanno scippando Parigi. Scoppia la rivolta. A deciderlo è il club dei vecchi, Calebot-ta, Alesini, Canna, Riminucci, Lu-cev, Gamba. Lo sportello e aperto ma nessuno scende. Paratore guarda severo me che sono matricola: scendi o la tua camera in Nazionale finisce qui. Scendi, gli fa eco il club, e noi ti facciamo un mazzo cosi. Ah, la bellezza di essere una squadra vera, tutti per uno uno per tutù! Calma. Partono le trattative, serrate, ma risolutive: dormiamo qui una notte e da domani alloggeremo in città, in un albergo che con iantasia si chiama Flotel della Gare de Lyon come la stazione. Siamo beatamente sbracati nella sua hall dopo un allenamento e un infinito giro a piedi, naturalmente con visita obbligata ai grandi magazzini La-fayette per vedere da vicino le ampolle dello Chanel N 5, quando entra un dirigente federale con l'aria di uno al quale hanno appena ammazzato padre madre e fratelli. Ha in mano la Gazzetta dello Sport, la spalanca ad altezza d'uomo e su nove colonne coire il titolone "Gli azzurri preferiscono Pigalle". Come dire abbiamo mandato in Francia un branco di puttanieri. E in più, visti i tempi, che diranno le gerarchie ecclesiastiche? Scoppia lo scandalo. Si parla addirittura di comportamenti "lussuriosi" degli azzur- ri travolti dalla libidinosa capitale del piacere. Salta perfino la prevista diretta televisiva che sarebbe stata una primizia per il basket. Un inviato della Federazione indaga. Incombe una resa dei conti. Noi volevamo solo dormire a Parigi e ci fanno passare per maniaci sessuali. Non sapevamo nemmeno che Pi-galle fosse la miccia della pruderie. Omnia monda mundis. NELL'ARIA c'è una tensione che si taglia. Il Palais d'FIiver è gremito, gaudio per le note della Marsigliese freddezza non benevola per quelle di Mameli. Va su la prima palla a due d'avvio e parte Francia - Italia del 15 marzo 1958.1 galletti hanno un centro altissimo e tortissimo, si chiama Beugnot, dicono sia immarca bile, sta facendo sfracelli, ma la partita è aperta, i francesi non sfondano. A un certo punto, come in un western di Leone, da un grumo pauroso a rimbalzo esce barcollante proprio lui, il signor Beugnot. Sulla fronte ha una tacca come di un colpo di pistola sparatogli da Glint Eastwood e invece è il segno di un gomito d'acciaio temperato di Sandro Gamba. Beugnot fa ancora qualche passo, traballa, rolla, scarroccia e infine stramazza lungo a terra. Tutto, dalla testa fino ai piedi e rimane stecchito. Grida di fuoco dalle tribune contro la nostra madrepatria e contro di noi suoi figli degeneri, ma la partita va avanti, l'Italia alla fine vince 68 a 59 e l'eroe massimo e proprio lui, Nino Calebotta, coi suoi sedici punti sonanti. Ed ecco che la fama e scende su di noi. Eravamo puttanieri e ora siamo eroi. L'Inquisizione spegne i fuochi già accesi sotto i roghi. Ci spuntano le aureole da bravi figlioli. Lo spogliarello? E quando mai. Si sa, sono, ragazzi, era la prima volta che vedevano Parigi, l'ormone ribolle, beata gioventù. I giornali inneggiano a noi azzurri, falange che ha espugnato Parigi, la romana Lutetia. La Patria risorge, siamo europei come gli altri, nessuno più ci umilierà. Rifioriscono "il lauro e il ferro ond'eran carchi i nostri padri antichi...". AL FISCHIO finale, increduli, saltiamo come pazzi dalla panchina. Compreso Giorgio Franca. Giorgio, ma tu che cavolo ci fai qui in panchina? Boli, ero a Parigi per lavoro, ho letto che c'era la partita, ho fatto il biglietto, sono entrato, ho detto di essere un dirigente e amico di un giocatore che saresti te, mi hanno tatto passare. Ed è così che nelle foto ufficiali e oggi introvabili dei momenti gloriosi del dopopartita di Francia - Italia del 1958, ad esultare con la Nazionale italiana di basket - allora pudicamente pallacanestro - figura anche il perfetto clandestino signor Giorgio Franca, per gli amici "Papa-lòe", titolare in Pesaro di una rinomata ditta di impianti termoidraulici. E meno male che il terrorismo era di là da venire. IL PROFESSOR Paratore sta giocando a carte avvolto nella perenne nube di fumo delle sue Tunnac ovali, scatola piatta con carta velina. E' un raduno azzurro di un paio d'anni dopo. Il discorso toma sull'impresa parigina poi va sulle sabbie mobili della filosofia. A un certo punto lui ci guarda e ammonisce: «Nessuno esce vivo dalla vita». E noi giovincelli imberbi e inesperti giù a ridere: ma che cazzo dice questo? E invece hai voglia se diceva il professor Paratore che guido gli Azzurri fino alle Olimpiadi di Tokio del 1964. Mori dopo Calebotta, erano il duo Nino& Nello, come una coppia di comici coi quali condividemmo imprese epiche come quel Francia - Italia del 1958.1 tempi di Pigalle in cui il basket era un vero "daimon" che ti prendeva la vita. Oh yes, my darlhig! IL TRADIMENTO «Era la nostra prima volta a Parigi e ci fecero dormire fra gli alberi del parco» L'INTRUSO In panchina con la squadra anche il pesarese Giorgio Franca entrato di straforo LA SENTENZA «Nessuno esce vivo dalla vita»: così il coach Paratore ammoniva noi giovincelli rs r I SCHIERATI Nazionale I960: Calebotta è il più alto con barba, Paratore è a destra. LUOGHI E AZIONI II Moulin