Cavaliero, 19 anni di A: mille assist e ricordi «Trieste anche stavolta saprà risollevarsi» « Essere stato in piccola parte protagonista del ritorno nell'elite della mia città ha dato un senso alla mia carriera » Asinistra Daniele Cavalieroadesso. a quasi 36 anni con la Pallacanestro Trieste. A destra Cavaliero in azione nei orimi anni con la PallTrieste Lorenzo Gatto TRIESTE. L'esordio in serie A quasi diciannove anni fa. È il 18 novembre del 2000, l'allora Telit gioca in casa contro la Scavolini Pesaro. Daniele Cavaliero entra in prima squadra complice l'infortunio al ginocchio che blocca capitan Laez-za. C'è bisogno di un cambio per Scoonie Penn, Luca Banchi non ha dubbi e se lo porta in panchina. «Secondo quarto, siamo sotto di sette - ricorda Cavaliero - e io in panchina scherzo col massaggiatore Bus-sani. Banchi si gira e urla il mio nome. Mi alzo come in trance, vado sul cubo del cambio e con le ginocchia che tremano entro al posto di Scoonie. Evito Lazic con un palleggio dietro la schiena e sento l'ooh del Pa-laTrieste. Avrei voluto fermarmi per gustare quel momento ma le urla di Banchi mi hanno riportato alla realtà». Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Domenica, nella sfida giocata all'Allianz Dome contro Brindisi, Daniele ha raggiunto e superato i mille assist in car- riera, una carriera fatta di tante tappe che gli hanno lasciato ricordi indelebili. LE PRIME STAGIONI TRIESTINE «Sono stati anni fondamentali - ricorda Daniele - nel corso dei quali ho conosciuto quella che ancora oggi è la mia seconda famiglia. Furio Stef-fè, Paolo Paoli, Andrea Bussarli, Marno Sbisà e i dottori Palombella e Ubaldini. Si sono spesi per la mia crescita e a loro sarò sempre grato. Ho vissuto intensamente ogni giorno fino all'estate del 2004. Dover partire è stato un trauma: quando l'ho saputo ero a un camp con Furio (Steffè) e Silvia, la mia fidanzata di allora. Ricordo mi misi a piangere per la delusione». IL PASSAGGIO A MILANO «Le opzioni non mancavano. Potevo andare alla Virtus Bologna o a Napoli, scelsi l'Armani perchè era la sfida più difficile ma con quella volevo confrontarmi. Non avevo potuto essere la bandiera di Trieste, avrei voluto diventare quella di Milano. Al primo anno finale con la Fortitudo, persa a gara-4 con l'instant replay sulla bomba a metàcampo di Ruben Douglas ma la conoscenza di tante persone. Il più importante Mario Ceretti, ancora oggi assistente di riferimento della prima squadra. Con lui perfeziono l'arresto e tiro che è stato il marchio di fabbrica della mia carriera. Gli ultimi sei mesi del secondo anno vado in prestito a Roseto da coach Caja. Ha bisogno di un esterno per sostituire un americano, mi da fiducia e mi fa giocare più di 30 a partita. Per me, allora 21enne, una esperienza formativa culminata con la salvezza all'ultima giornata». LAFORTITUDO «Lascio Milano e arrivo a Bologna. Devo dirlo, non ero pronto per l'Eu-rolega. Vivo un anno difficile nel corso del quale instauro rapporti importanti con Beli-nelli e Fultz ma in cui faccio fatica. Primo momento difficile della carriera perchè la Fortitudo mi scarica. Chiamo a casa per sfogarmi e resto in piazzale Azzarita a pensare. Qualche ora dopo, mentre su un muretto sono fermo a ragionare sul mio futuro, vedo arrivare la macchina di mio papà. Quando ringrazio la mia famiglia per essermi stata sempre vicina penso a momenti come questi». IL RISCATTO «Un anno importante il successivo ad Avellino. La bravura e le idee di Boni-ciolli e Zorzi ci portano a vincere coppa Italia e a centrare le semifinali scudetto. Lascia Matteo e vado via anche io, tentato dal progetto Montegranaro. Lì ho conosciuto la bellezza della provincia e il valore di persone di cuore con cui ho instaurato un rapporto vero. La prima stagione non va come avrei voluto, la seconda invece è forse la migliore della mia carriera. Devo molto a Giustino Danesi, preparatore, professionista pazzesco e grande amico che è rimasto tale anche a distanza di tanti anni». PESARO, AVELLINO E VARESE «Dopo Montegranaro, raggiungo Pesaro. Prima stagione indimenticabile, riportiamo 13mila persone al Palasport e centriamo la semifinale scudetto. Secondo anno interlocutorio prima del ritorno ad Avellino. E l'anno della delusione azzurra, della mancata convocazione per gli Europei in Slovenia. Perdo motivazioni ma a Varese, riportando una piazza storica a giocare una finale europea da capitano, ritrovo stimoli e motivazioni». IL RITORNO A CASA «Non avrei potuto scegliere un finale più bello e ancora oggi mi capita di darmi un pizzicotto per capire se è tutto vero. Essere in piccola parte protagonista del ritorno di Trieste in serie A ha significato raccogliere i frutti di tanti sacrifici e anni di lavoro e ha dato un senso a tutta la carriera. Ho ritrovato le persone con cui tutto è iniziato, ne ho conosciute altre come Uccio Cerne con cui si è instaurato un legame molto stretto, ho ammirato compagni di squadra come Fernandez e Da Ros vedendoli crescere e migliorare giorno dopo giorno. Tutto questo mi rende felice e questa felicità la porto con me ogni giorno anche in questa stagione che non è partita nel verso giusto. Ne sono convinto, le cose cominceranno a girare. Una promessa che faccio a tutti quei tifosi