PALLA DI CRISTALLO I settant'anni di Dino Meneghin semplicemente il più grande Giovanni Marzini E il 18 di gennaio del 1950, quando in un paesino del Bellunese nasce Dino Meneghin, sino ad oggi il miglior giocatore italiano della nostra pallacanestro. O se preferite, il più grande, molto di più dei suoi 204 centimetri. Vede la luce ad Alano di Piave, luogo di nascita che pare cucito addosso per quello che in realtà è stato super Dino: un cagnaccio razza Piave! Tanto dissacrante, irriverente e divertente fuori dal campo, quanto incredibilmente combattivo, determinato e spigoloso sul parquet. Ma al di là della felice coincidenza di una Palla che esce nel giorno dei 70 anni di un monumento dello sport italiano, perché mai questa rubrica vuol soffiare sulle candeline di Meneghin? Lo spieghiamo ai mille-nials che non hanno avuto la fortuna di applaudirlo dal vivo: perché semplicemente, nel 1990, il santone Bogdan Tanjevic convinse Bepi Stefanel che il miglior pivot italiano (allora i "centri" si chiamavano ancora in questo modo) sarebbe stato la chioccia ideale per far crescere l'imberbe truppa biancorossa dell'epoca, appena approdata nella massima serie. Fu proprio così e va detto che ne girò poi ben poche di squadre Meneghin. Con Varese e Milano, aggiungeteci solamente Trieste. Quasi come Cristiano Ro-naldo: nella sua carriera soltanto il Manchester United, il Real Madrid e la Juventus. Che ne dite, non male vero, aver avuto l'onore di vedergli addosso la maglia di Trieste? Nella nostra città Dino Meneghiun festeggiò i suoi primi 40 anni e non ci arrivò certo per "rubare" gli ultimi stipendi di una fantastica carriera. I dodici scudetti ed un numero ancor maggiore di coppe vinte non lo avevano di certo saziato. Boscia Tanjevic, che oggi dice di Menego «uno come lui non si è ancora visto nemmeno da lontano: è il miglior italiano di sempre, senza dubbio» ci aveva insomma visto giusto andando a pescare un quarantenne da sistemare in mezzo alla "muleria" di quella fantastica Stefanel. Chiedete ai ragazzi di allora cosa ricordano di questo giocatore, che pareva esser uscito da una scultura lignea di quei tronchi che crescono dalle sue parti: non si ricordano sue memorabili schiacciate, ma quando riceveva palla nei pressi dello "smile" di oggi erano due punti certi, al pari di quelli che potevi segnare quando il giocatore che ti marcava si infrangeva sul suo "blocco". Ecco perché la Palla vuol festeggiare quest'eterno giovanotto dal perenne sorriso. E per gli auguri usiamo le poche parole scelte da un altro grande del nostro basket, suo figlio Andrea, che sulla Gazzetta dello Sport gli ha scritto semplicemente "Auguri papà: 70