70 ANNI DI DUE MITI MENEGHIN E VILLENEUVE ----------------------O---------------------- Dino e «questo basket che emargina gli italiani» «Lo amo ma così non mi piace. Abbiamo buoni giocatori però troppi fanno da gregari. È il mio grande rammarico» di Oscar Eleni Dino Meneghin tocca legno e ride aspettando di brindare ai suoi settant'anni vissuti alla grande, campione del basket, una grande storia per chi ha vinto tanto, unico giocatore italiano nella casa della gloria di Springfield. Il cavaliere di Fener, frazione meridionale di Alano Piave, bellunese, fra il grande fiume sacro e Monte Grappa, commendatore della Repubblica, 12 scudetti fra Varese e Milano, 7 coppe dei campioni, oro europeo, argento olimpico, ride anche adesso che guarda il suo mondo così cambiato. Per uno nato sotto il segno del capricorno, nel giorno di santa Liberata, la giocosità si rispecchia sempre nella danza delle stelle e giura anche oggi che nessuno dei suoi vecchi compagni lo prende in giro per il suo naso da condottiero di non provare invidia per due grandi attori che sono nati, come lui, il 18 gennaio: «Sì, Cary Grant era bellissimo e bravissimo, Kevin Cost-ner è un gigante, ma io non sono male». Ridiamo tutti e lui starnutisce facendo abbaiare la barboncina Pippa, un giocattolo nelle sue mani a cui affideremmo il nostro cuore in ogni momento. Come facevano quelli che giocavano con lui, come hanno fatto quelli che hanno giocato per lui quando era la guida spirituale della nazionale campione d'Europa a Parigi nel 1999, nei quattro anni della sua presidenza federale, diciamo cinque. Il numero undici, la sua maglia nell'epopea varesina, quando lasciò in terra la palla del getto del peso per passare dal grande professor Bresciani alla ca- sa illuminata delle Robur del cavalier Trombetta e Gianni Asti, fino ai giorni della gloria con la Ignis di Meo Messina, del professor Nikolic e di Sandro Gamba, lo Spartaco milanese di via Washington che prima di lui superò la tempesta fra campanili lasciando la real casa di Bogoncelli e Rubini per vincere con i "nemici" di Varese. Dino ha ripercorso al contrario, anni dopo, la stessa rotta per risorgere, ringraziando Boscia Tanjevic che gli allungò la carriera fino ai 44 anni permettendogli anche di giocare in campionato con Trieste contto suo figlio Andrea che con Pozzecco preparava a Varese la scalata allo scudetto della stella. Caro Meneghin cosa usa per scacciare i piccioni che cercano rifugio sui monumenti come il suo? «Niente di speciale, guardo avanti, ma non dimentico niente di quello che c'è stato prima. Amo il basket, mi diverte sempre anche se il gioco di oggi non mi piace, troppi posti di blocco, troppo tiro da tre punti. Ho dato tutto sul campo e poi come dirigente. Adesso continuo a collaborare con la Federazione per le pubbliche relazioni. Nessuno mi chiederà mai di rientrare, sanno che ho già dato e la gente mi mostra sempre lo stesso affetto come nel giorno in cui hanno ritirato la mia maglia che adesso prende polvere sul tetto del Forum di Assago, una polvere giusta, la mia nostalgia come dice mia moglie Caterina che si merita davvero il monumento. Ero emozionato, è stato un bel giorno per rivedere tutti i miei vecchi compagni, chi ha lavorato per rendere più facile il mio viaggio e di questo sono grato a Giorgio Armani, ai miei allenatori, a quelli che non dimenticherò mai, per questo non farò nessun quintetto ideale. Tutti primi al traguardo del mio cuore come diceva quel grande giornalista di ciclismo». Tutto bello, ma il nostro basket non sta benissimo se pensiamo che la Nazionale potrebbe restare fuori anche dalla prossima Olimpiade a Tokio. «Prima giochiamocela, lo so Belgrado, la Serbia ci aspettano, ma come dice Sacchetti anche noi eravamo favoriti contro la Croazia a Torino e siamo rimasti a casa. I giocatori ci sono, mi sembrano anche bravi, cerchiamo di essere ottimisti. Sì, è vero, al momento sono ancora troppi gli italiani che fanno soltanto numero, gregari, è il mio rammarico più glande come presidente federale, avrei voluto imporre regole più decise per aprire gli spazi ai nostri sul campo». Tutto bellissimo, quasi vero, ma ad esempio Vincenzo Esposito, uno degli allenatori rivelazione dalla stagione con Brescia terza in classifica, parla di italiani svogliati che si adagiano su regole troppo protettive. «Ho letto, ma sono d'accordo soltanto al 50%. Il giocatore lavora se l'allenatore sa trovare gli stimoli giusti. Dipende da chi sta in palestra, ricordo Boscia Tanjevic e il suo lavoro su ragazzi che poi hanno davvero fatto cose importanti, Esposito è uno di questi. Certo li capisco gli allenatori di oggi, l'ansia del risultato spesso rende tutto troppo difficile, ma io credo che anche adesso, con un reclutamento sempre più difficile, con sport, come la pallavolo, che fanno benissimo e hanno trovato talenti fisici che ora mancano al basket, si può cambiare la tendenza». Perché non si candida lei alla presidenza della Lega che ora è in acque agitate? «No, grazie, ho già dato». Un compleanno da passare soltanto in famiglia? «Certo, anche se purtroppo mia moglie che è medico, chirurgia plastica, non ha trovato una cura Der farli calare questi anni invece di vederli crescere. Farò festa con mio figlio Andrea che è stato un grande giocatore e ora è un padre stupendo. Le sue figlie sono meravigliose. Carlotta, 8 anni, nuota, non le chiederò mai se un giorno giocherà a basket, mentre l'altra, Francesca, 5 anni, so già che sarà un'attrice. Con lei rido e mi diverto, non cresco mai». Ce lo auguriamo grande Dino, riparti sempre per nuove avventure come urlavi sul pullman dopo una partita andata male, come dicevi sempre dopo tante vittorie. Ad